Stop bias (Ayros)-Il valore non ha età (Egea)
DUE “LIBRI IN DIALOGO” SUL TEMA DELLA DEI
Buone notizie per gli over ’50. C’è chi li considera soggetti accantonabili da sottoporre a robusti reskilling, purché non sottraggano troppe ore di formazione ai giovani su cui investono le imprese. Tre consulenti e coach, autrici de Il valore non ha età, sostengono che l’inclusione intergenerazionale è possibile, a condizione di far propria la filosofia DEI e di agire di conseguenza. Ma di cambiamenti occorre farne diversi. Il primo consiste nel girare il nostro specchietto retrovisore per guardarsi dentro e riconoscere le le convinzioni che inducono a vedere nelle differenze di età un problema insanabile. Le autrici sostengono che questo è un erroe di valutazione (un bias), perché il valore non ha data di scadenza. E lo dimostrano con solide argomentazioni.
In Stop Bias due consulenti e ricercatrici firmano un testo esaustivo sul tema, frutto di un’ampia ricerca che mette a fuoco i principali bias (individuali e sistemici) spiegando come divenire consapevoli di abitudini e resistenze che frenano i processi di inclusione, e come agire per fronteggiarle lungo tutto il ciclo della vita lavorativa.
Due libri che non potevano trovare titolo migliore per ricordarci che il valore non ha età, a condizione di saper porre uno stop ai bias che ci impediscono di riconose in chi è “diverso da noi” una risorsa potenziale, anziché una barriera.
Recensioni di Raul Alvarez
(r.alvarez@inalto.it)
IL VALORE NON HA ETA’
Ilaria Marchioni, Gaia Moretti, Giulia Tossici
Egea
pp.213 € 25,00
L’inclusione delle diversità (DEI), è il tema del momento. Una rivoluzione mossa da nobili propositi, purché non si trasformi in un’ideologia o in un mero adempimento o, peggio, in marketing travestito da impegno sociale. Sul DEI si è scritto molto. Tante le iniziative avviate nelle aziende. Questo libro approfonisce il tema dell’ageismo sul quale la ricerca è sorprendentemente più ridotta rispetto, ad esempio, a quella sul genere, non per questo meno importante. In primo luogo perché l’età è l’unica “diversità” che ci riguarda tutti. Problema avvertito ancora di più oggi che le organizzazioni devono vedersela con ben quattro generazioni (Baby Bomber, X , Millennial e Z) mosse da un divario di valori, aspettative, stili di vita, modi di pensare e relazionarsi che rendono difficile farle lavorare insieme proficuamente.
Tre autrici di “diversa” formazione hanno scritto un libro pregevole, ricco di spunti su cui riflettere. Si parte da un’accurata radiografia psico-sociale su cosa distingue queste quattro generazioni, da quale retroterra culturale vengono, da come ciascuna rappresenti “un mondo a sé”, e da come il passaggio dall’analogico al digitale abbia influito profondamente sulle strutture cognitive e sensoriali soprattutto della Generazione Z (nati fra il ’97 e il 2010) che non ha esperienza di come fosse il mondo nell’era analogica, e come questo abbia plasmato il modo di essere e di vivere, privandoli di un passato con cui oggi faticano a confrontarsi. Dopotutto la rivoluzione digitale non è stata una semplice evoluzione, ma un “salto quantico” che ha rivoluzionato abitudini, modi di pensare e la vita stessa, fuori dentro e le aziende.
Di conseguenza i pregiudizi dei meno giovani tendono a stigmatizzare gli Z come una generazione superficiale. “In realtà è solo diversa”. Passano facilmente da un ruolo all’altro e, altrettanto facilmente, cambiano lavoro. Sono creativi, capaci d’innovarsi, di muoversi rapidamente fra le diverse attività. Ma non altrettanto di entrare in merito alle proposte, di fare analisi minuziose. Forse ne sono anche capaci – ipotizzano le autrici – ma hanno modalità e tempi diversi da quelli chi li ha preceduti. Un diverso accesso ai canali d’informazione. “Difficilmente uno Z aprirà un libro per cercare un riscontro, piuttosto farà una ricerca su internet” sapendo quali potrebbero essere le fonti affidabili.
Alla luce di tutte queste diversità, anche la rappresentazione dei valori e della mission aziendale dovrebbero trovare modalità diverse per ingaggiare persone con quarant’anni di differenza. Occorre anche un nuovo linguaggio per favorire il dialogo e nuove forme di comunicazione. tema più che mai avvertito. Lo dimostra il fatto che “Mai come oggi le aziende richiedono programmi e iniziative d’inclusione, laboratori di comunicazione intergenerazionali, per sciogliere i tanti nodi dell’incontro-scontro nei team fra persone di generazioni diverse”.Nel libro troverete anche una riflessione sui modelli di employee-experience intergenerazionale e sulle leve motivazionali (formazione e sviluppo, membership interna, regole d’ingaggio, work-life balance, benessere psicologico, e altre ancora) per coinvolgere in modo mirato le diverse fasce d’età affinchè riescano a lavorare in modo sinergico.
Il libro ha un taglio sociologico ma anche un’impronta pragmatica che, oltre ad analizzare il fenomeno spiega come superare quel dilemma sino a ieri insormontabile, riassunto dal detto: “Se gioventù sapesse, se vecchiaia potesse”. le autrici affermano che incontrarsi si può, a condizione si abbia l’umiltà di riconoscere che il valore non ha età e, al tempo stesso, la volontà di correggere i propri e altrui bias che lo negano.
STOP BIAS
Poornima Luthr / Sara Louise Muhr
Ayros
pp.339, € 32,00
Gestire i bias è una sfida ardua perchè ci costringe a fare i conti con i propri pregiudizi, il che comporta riconoscerli . Eliminarli è impossibile, in quanto parte integrante del funzionamento del nostro cervello. Possiamo però prenderne atto. E questo è già un primo passo. Il salto di qualità avviene quando l’individuo e le organizzazioni interiorizzano il mindset DEI, sino a radicarlo nelle proprie convinzioni più profonde. Solo allora Equità e Inclusione diventeranno comportamenti agiti e non solo proclamati.
È quanto affermano le autrici (due consulenti e ricercatrici danesi) in questo monumentale lavoro sul tema della DEI. Un libro solido, sistematico, sostenuto da un rigoroso impianto metodologico, ricco di dati e case history da lasciare senza fiato. Supportato da esercizi che inducono all’auto-riflessione. Denso di idee ed esempi che spingono a rileggerlo per essere certi di non perdere nulla dei suggerimenti migliori.
Qui dentro troverete idee che smontano miti come quello delle quote: “Le quote rendono un cattivo servizio ai gruppi sottorappresentati perpetuando il bias che spinge a credere che la persona ha ottenuto il lavoro solo perché appartenente ad una minoranza, non per le sue capacità”. Oppure, il mito ingannevole del merito. Presumiamo che i risultati peggiori dei gruppi sottorappresentati siano dovuti alle loro competenze inadeguate, anziché all’iniquità, alla diseguaglianza di opportunità offerte loro o, piuttosto, ai bias di chi li valuta. “Il problema non è che non siamo in grado di vedere i meriti in modo oggettivo – sostengono le autrici – il problema è credere che il merito sia una misura oggettiva”. E ancora, il mito astratto del talento. “Quando i leader usano i termini talento e potenziale non hanno la minima idea di cosa stiano parlando. Spesso quelli che considerano talenti sono solo le persone più simili a loro”.
Non mancano anche idee discutibili come il caso delle “bias termiti” (Cosa sono? Lo scoprirete leggendolo). Oppure la risemantizzazione delle parole per depurare il linguaggio da termini non inclusivi, ma che potrebbe trasformare un sano proposito in una forma di “fondamentalismo linguistico”. Altro eccesso – ma qui solo d’impostazione – l’elenco dei diversi bias, la loro descrizione dettagliata, ulteriormente arricchita dagli esempi. E ancora, le sotto articolazioni dei bias (in impliciti, espliciti, inconsapevoli) e altre ancora. Un surplus di dettagli dove si avverte il rigore del ricercatore, ma che può ingombrare la memoria e affaticare la lettura. Tuttavia, rispetto di tanta letteratura suoerficiale sul tema, questo libro rivela un’innegabile solidità che soddisferà i lettori più esigenti.
Il maggior pregio di Stop bias, è l’impianto metodologico, a cominciare da un concetto cui le autrici hanno dato una giusta centralità, quello della intersezionalità, una potente chiave di lettura della diseguaglianza sociale che sostiene che “i bias e la discriminazione non sono il risultato di una singola dimensione, ma di più dimensioni correlate (ad esempio, razza, genere e orientamento sessuale). “Senza una comprensione della intersezionalità, gli sforzi della DEI spesso adottano una visione semplicistica che non ci porta al di là di iniziative specifiche per includere solo determinati gruppi”.
E infine, il contributo più importante: la messa a modello delle 5 abilità per gestire i bias. Si parte dall’adesione di mente e cuore al purpose della DEI, senza la quale ogni azione potrebbe essere dettata solo da moda o convenienza. Dunque bisogna crederci davvero. Il 1° passo è la Convinzione che le iniquità e le diseguaglianze in azienda esistono e vanno affrontate, che essere inclusivi è la cosa giusta da fare. Infine, che la propria azienda sarà migliore grazie anche a questa convinzione e all’aver incorporato la DEI nella propria strategia . 2° passo, Chiarezza, imparare a distinguere i bias cognitivi, legati all’identità (genere, sesso, età. razza ecc.), dai bias situazionali, legati a come i nostri atteggiamenti nelle interazioni sociali e nella presa di decisioni. 3° passo, la Responsabilità, che comporta “attivare comportamenti capaci di stoppare i bias per affrontare poi quelli più potenti e pervasivi insiti nei sistemi, nelle strutture, nei processi e nelle policy aziendali”. Il focus qui è sul ciclo di vita dei dipendenti, dalla fase d’attrazione dei potenziali dipendenti, tramite l’employer branding, sino all’uscita, ovvero l’offboarding. È questo uno dei capitoli più interessanti dove, insieme ai suggerimenti da adottare, troverete anche le metriche da seguire. 4° passo, l’Alleanza con le persone, che può essere passiva (i principi sono condivisi ma non si sa come agire) o attiva, quando nell’interazione con gli altri sappiamo sbloccare i nostri bias. Ogni fase del ciclo di vita del dipendente è costellata da esempi su come mantenere l’alleanza interpersonale. 5° passo, la Forza che, declinata nella DEI, significa sentirsi liberi di esprimere la propria vulnerabilità, trasmettendo autenticità e la sicurezza psicologica necessaria per confrontarsi senza timore di sentirsi giudicati. Affrontare le paure nel trattare una questione così delicata sul lavoro quale è la DEI, disapprendere le conoscenze passate oggi disfunzionali, perseverando infine nell’ apprendimento continuo e nella crescita.
Stop bias è un libro denso. Dentro troverete molte idee, alcune già acquisite, altre originali; alcune da portare a bordo, altre da mettere da parte. Tanta carne al fuoco, ma una cosa è certa: è un libro che invoglia la lettura e lascia il segno.